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Fellini

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Il 20 Gennaio saranno 100 anni dalla nascita di Federico Fellini, nato a Rimini nel 1920.

Come noto il grande registasceneggiatorefumettista e scrittore italiano è morto a Roma, 31 ottobre 1993, ed è  considerato uno dei maggiori registi della storia del cinema. Nell’arco di quasi quarant’anni – da Lo sceicco bianco del 1952 a La voce della Luna del 1990 – ha “ritratto” in decine di lungometraggi una piccola folla di personaggi memorabili.

Fellini definiva se stesso “un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo“. Ha lasciato opere ricche di satira e velate di una sottile malinconia, caratterizzate da uno stile onirico e visionario. I titoli dei suoi più celebri film – La stradaLe notti di CabiriaLa dolce vita e Amarcord – sono diventati dei topoi citati, in lingua originale, in tutto il mondo. I film citati hanno  tutti vinto l’Oscar al miglior film straniero. Candidato 12 volte al Premio Oscar, per la sua attività da cineasta gli è stato conferito nel 1993 l’Oscar alla carriera. Ha vinto inoltre due volte il Festival di Mosca, 1963 e 1987, la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1960 e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1985.

La famiglia di Fellini

Federico Fellini nacque a Rimini il 20 gennaio 1920 da una famiglia modesta. Il padre, Urbano Fellini (1894-1956), era un rappresentante di liquori, dolciumi e generi alimentari originario di Gambettola, una cittadina sita a poco più di 20 km ad ovest di Rimini, in direzione di Forlì, mentre la madre, Ida Barbiani (1896-1984), era una casalinga originaria di Roma, del rione Esquilino. Fellini  frequenta il Ginnasio-Liceo classico “Giulio Cesare”di Rimini e già da adolescente rivela il proprio talento nel disegno, che manifesta sotto forma di vignette e caricature di compagni e professori.

A quell’età non pensava ancora di fare il regista, ma qualcosa a metà tra lo scrittore e l’illustratore.

Già prima di terminare la scuola, nel 1938, Fellini invia le proprie creazioni ai giornali. La Domenica del Corriere gli pubblica una quindicina di vignette nella rubrica “Cartoline del pubblico” , la prima appare il  6 febbraio 1938.

Gli esordi

Il giovane Fellini
Fellini giunge nella capitale seguito dalla madre Ida e i fratelli Riccardo e Maddalena nel quartiere Appio-Latino e si iscrive a Giurisprudenza. Ma la sua velleità non è l’avvocato , ma il giornalista, infatti, esordirà nell’aprile 1939, sul Marc’Aurelio, la principale rivista satirica italiana.Come disegnatore satirico, idea numerose rubriche, come  È permesso…?, e come  vignettista e autore delle celebri “Storielle di Federico”, diventa una firma di punta .

Il successo nel Marc’Aurelio gli fa ottenere buoni guadagni e inaspettate offerte di lavoro c conosce personaggi a quel tempo già noti. Comincia a scrivere copioni e gag di sua mano. Collabora ad alcuni film di Erminio Macario  e scrive le battute per gli spettacoli dal vivo di Aldo Fabrizi.

Federico e Giulietta 

Nel 1941 viene chiamato all’EIAR, e avvia una breve stagione come autore radiofonico. Per quanto meno nota rispetto all’opera cinematografica, l’attività radiofonica di Fellini è importante poiché segna il suo esordio nel mondo dello spettacolo, nonché l’inizio del sodalizio artistico e affettivo con Giulietta Masina

In questi anni Fellini firma una novantina di copioni, tra presentazioni di programmi musicali, riviste radiofoniche, fino alla celebre serie di ventiquattro radioscene Cico e Pallina. La serie si incentra sulle avventure di due giovani sposi dall’animo semplice e puro, e viene trasmessa saltuariamente all’interno del programma di varietà Il terziglio. 

Il ruolo di Cico è di Angelo Zanobini, mentre Pallina è interpretata da una giovane attrice di rivista, Giulietta Masina,  che diventerà sua compagna inseparabile e interprete dei suoi film.

Nel luglio 1943 Giulietta presenta Federico ai propri genitori. Dopo l’8 settembre 1943, quando il proclama di Badoglio rese pubblico l’armistizio con gli Alleati, Fellini, invece di rispondere alla chiamata alla leva, convola a nozze con lei il 30 ottobre. Nei primi mesi di matrimonio vivono insieme nella casa della zia di Giulietta, e hanno di li a poco  un figlio, Pier Federico detto Federichino, nato il 22 marzo 1945 e morto appena un mese dopo la nascita, il 24 aprile.

Fellini sceneggiatore

Federico Fellini, Leopoldo Trieste, Moraldo Rossi sul set de Lo sceicco bianco

Tra il 1942 e il 1943 Fellini collabora alla sceneggiatura di film Quarta pagina, Avanti c’è posto… e Campo de’ fiori . Subito dopo l’arrivo delle forze alleate, nel 44, Fellini apre a Roma con il disegnatore Enrico De Seta una bottega dal nome “The funny face shop”, nella quale si dipingono caricature per i militari alleati in un locale di via Nazionale.  Il progetto si espande, e grazie a ciò ha il suo primo incontro con Roberto Rossellini, nel 1945.

Grazie a Rossellini, Fellini collabora alle sceneggiature di Roma città aperta e Paisà, film che aprono, assieme alle opere di altri autori, soprattutto Vittorio De Sica e Luchino Visconti, la stagione che verrà definita del Neorealismo cinematografico italiano.

Il neorealsmo italiano

In Paisà Fellini ricopre anche il ruolo di assistente sul set. Sembra, inoltre, che abbia girato, in assenza di Rossellini, alcune scene di raccordo, di certo dirige una lunga inquadratura della sequenza ambientata sul Po.  Nel 1946 Fellini conosce Tullio Pinelli,  scrittore per il teatro torinese,  e inizia una collaborazione con lui.

Negli anni successivi, Federico Fellini firma nuove sceneggiature. Nel 1948 un soggetto realizzato con Pinelli viene messo in scena: Il miracolo, uno dei due episodi de L’amore, film diretto da Roberto Rossellini. Nell’episodio Fellini è anche attore: interpreta un vagabondo che incontra e seduce un’ingenua pastorella, Anna Magnani.

Seguono sceneggiature per diversi film di Pietro Germi insieme a Pinelli e Monicelli: In nome della leggeIl cammino della speranza, La città si difende . Con Alberto Lattuada, scrive la sceneggiatura  de Il delitto di Giovanni EpiscopoSenza pietà e Il mulino del Po.

L’opera prima: Luci del varietà

Una scena di Luci del varietà

Nel 1950 Fellini esordisce in coppia con Alberto Lattuada alla regia con Luci del varietà. I due registi si cimentano anche come produttori grazie a un accordo basato su una formula di cooperativa. Il soggetto della pellicola è un tema che diventerà un topos narrativo di Fellini: il mondo dell’avanspettacolo e la sua decadenza.

Sul set si respira aria ilare e distesa con Lattuada che dirige principalmente i lavori ma con un Fellini sempre presente e attivo.

Nonostante il film riceva giudizi positivi da parte della critica, non riscuote gli sperati successi commerciali, piazzandosi come incasso al sessantacinquesimo posto tra i film italiani durante la stagione 1950-51. Il pessimo esito finanziario della pellicola lascia un segno pesante sui patrimoni personali di Fellini e Lattuada e ciò contribuisce a raffreddare definitivamente i rapporti tra i due.

Nino Rota

Alberto Sordi nel film Lo sceicco bianco.

Federico Fellini a proposito del primo giorno di lavorazione del film

… Si erano imbarcati tutti in un barcone che era a un chilometro di distanza su un mare immenso. Mi parevano lontanissimi, irraggiungibili. Mentre un motoscafo mi portava verso di loro, il barbaglio del sole mi confondeva gli occhi. Non solo erano irraggiungibili, non li vedevo più. Mi domandavo ‘E ora cosa faccio?…’ Non ricordavo la trama del film, non ricordavo nulla, desideravo tagliare la corda e basta. Dimenticare. Poi, però, di colpo tutti i dubbi mi svanirono quando posai il piede sulla scala di corda. Mi issai sul barcone. Mi intrufolai tra la troupe. Ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire…

In occasione della scelta delle musiche per Lo sceicco bianco, nasce tra Fellini e il compositore Nino Rota un rapporto di collaborazione che coinvolgerà vita e arte di entrambi. Sull’incontro tra i due è nato un aneddoto secondo il quale Fellini, uscendo dalla Lux, notò un signore che aspettava l’autobus. Gli si avvicinò che gli domandò quale autobus stesse aspettando. Rota nominò un numero che non passava di là e mentre il regista cercava di spiegarglielo l’autobus si presentò. Questo racconto, per quanto inverosimile, riassume gli ingredienti che caratterizzeranno il rapporto artistico tra i due, fatto di magia, empatia e irrazionalità. Tra i due si instaurò immediatamente un’intesa formidabile che li portò a collaborare per ben diciassette film. Fellini non si dimostrò mai un amante della musica ma questo non creò difficoltà a Rota, che per i film del regista riminese si adattò volentieri a scrivere marcette dai ritmi marcati e vistosi. L’apice della collaborazione è raggiunto con la marcetta della scena della passerella finale di 8½; basata su l’entrata dei gladiatori, che divenne l'”inno” del fellinismo.

Lo Sceicco bianco

Due anni dopo Le luci del varietà, Fellini giunge all’esordio assoluto come regista, con Lo sceicco bianco, con Antonioni coautore del soggetto, Flaiano coautore della sceneggiatura e una grande interpretazione di Alberto Sordi, esempio della capacità di Fellini di valorizzare gli attori più amati dal pubblico. È il momento cruciale nella carriera felliniana: il momento nel quale l’attività di regista prende il sopravvento su quella di sceneggiatore. La gestione delle riprese da parte di Fellini si realizza in una continua rivisitazione della sceneggiatura con l’arricchimento di situazioni e la dilatazione dei tempi. Questo suo modo di operare lo porterà ad alcuni contrasti con la produzione, ma.con questo film, Fellini inaugura – grazie anche alla collaborazione con Ennio Flaiano – uno stile nuovo, estroso, umoristico, una sorta di realismo magico, onirico, che però non viene subito apprezzato Inoltre, più in generale e facendo riferimento anche alla filmografia successiva a Lo sceicco bianco, si definisce lo stile di Fellini come fantarealismo.

Gli incassi al botteghino si rivelano un completo insuccesso, un duro colpo per la casa di produzione di Luigi Rovere. La maggioranza della critica lo stronca fino a definirlo “…un film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative e per convenzionalità di costruzione da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello”

I vitelloni

Sordi al Bar ne “I Vitelloni”

Gli anni cinquanta sono caratterizzati da profondi cambiamenti nella società e in particolare nell’Italia che si avvia verso l’industrializzazione. I film di Fellini girati in questo periodo nascono proprio da questo contesto. Dopo Luci del varietà il regista gira I vitelloni, che racconta la vita di provincia di un gruppo di amici a Rimini. Questa volta il film ha un’accoglienza entusiastica. Alla Mostra del cinema di Venezia, dove viene presentato il 26 agosto 1953, l’opera conquista il Leone d’argento. La fama di Fellini si espande per la prima volta all’estero, il film è infatti campione di incassi in Argentina e riscuote un buon successo anche in Francia, Stati Uniti e Inghilterra.

È il 1953 e il regista riminese, poco più che trentenne, fa ricorso a episodi e ricordi dell’adolescenza, ricchi di personaggi destinati a restare nella memoria. L’articolazione della trama del film in grandi blocchi episodici, qui per la prima volta sperimentata, sarà una consuetudine di molti suoi film successivi.

La Strada

Fellini e Richard Basehart sul set de La strada

Il grande successo internazionale arriva per Fellini grazie al film La strada, girato nel 1954. L’idea del film si ha intorno al 1952 quando Fellini è alle prese con il montaggio de Lo sceicco bianco. Per motivi strettamente legati alla produzione è però costretto a ritardare il progetto e a girare prima I vitelloni e l’episodio Agenzia matrimoniale, ma in testa ha già chiaramente l’idea che lo porterà alla realizzazione della successiva opera.

La scrittura de La strada avviene a partire da alcune discussioni con Tullio Pinelli sulle avventure di un cavaliere errante per poi focalizzarsi sull’ambiente del circo e degli zingari.

L’ispirazione

Pinelli a tal proposito ricorda:

«Ogni anno, da Roma, andavo in macchina a Torino per rivedere i posti, la famiglia, i genitori. Allora l’Autostrada del Sole non c’era, si passava fra le montagne. E su uno dei passi montani ho visto Zampanò e Gelsomina, cioè un omone che tirava la carretta con un tendone su cui era dipinta una sirena e dietro c’era una donnina che spingeva il tutto. … Così quando sono tornato a Roma ho detto a Federico: “Ho avuto un’idea per un film”. E lui: “Ne ho avuta una anch’io”. Stranamente erano idee molto simili, anche lui aveva pensato ai vagabondi, ma la sua era centrata soprattutto sui piccoli circhi di allora… Abbiamo unito le due idee e ne abbiamo ricavato un film»

Fellini con la moglie Giulietta Masina, Gelsomina in La strada

Il film, ricco di poesia, racconta il tenero ma anche turbolento rapporto fra Gelsomina, Giulietta Masina, e Zampanò, i Anthony Quinn, due strampalati artisti di strada che percorrono l’Italia dell’immediato dopoguerra.

La composizione del cast, a cui si aggiunge Richard Basehart nei panni del Matto, fu oggetto di svariate discussioni: in particolare i produttori non erano convinti della partecipazione della Masina, ma si dovettero arrendere alla caparbietà di Fellini. Tra i vari provini per i ruoli di protagonisti c’è da annoverare quello di Alberto Sordi che però non viene ritenuto idoneo per la parte. L’esito negativo del provino congelerà i rapporti tra i due artisti per molti anni.

 

Budget

La realizzazione del film fu lunga e difficoltosa. Il budget era assai limitato, tanto da costringere Anthony Quinn, abituato ai fasti delle produzioni hollywoodiane ad adattarsi a un trattamento più “di fortuna”. L’attore, comunque, comprese lo spessore artistico della pellicola tanto che in una lettera del 1990 scriverà a Federico e Giulietta: “Per me tutti e due rimanete il punto più alto della mia vita”. Tra i vari imprevisti e incidenti che rallentano la realizzazione del film si aggiunge il manifestarsi in Fellini dei primi sintomi della depressione che lo porterà ad avere un malumore incontrollabile.

Giulietta Masina, Antony Quinn, Richard Basehart

La prima de La strada avviene il 6 settembre 1954 a Venezia. I primi giudizi del film si inseriscono in un contesto di scontro culturale con i neorealisti sostenitori del regista Luchino Visconti che presenta nello stesso periodo il film Senso. Ben altra accoglienza ha il film fuori dai confini italiani e nel 1957 arriva l’Oscar al miglior film in lingua straniera, istituito per la prima volta in quell’edizione, per La strada.

Molti critici hanno provato ad analizzare il film per cercare elementi autobiografici di Fellini, identificandolo principalmente con Zampanò e vedendo nel suo rapporto con Gelsomina una metafora del matrimonio nell’epoca prefemminista. Una diversa chiave di lettura la dà la stessa Masina, che identifica il marito in tutti e tre protagonisti: Gelsomina è il Federico da bambino che contempla la natura e parla con i fanciulli, il vagabondaggio di Zampanò rappresenta alcune delle sue più peculiari caratteristiche mentre il Matto è il Fellini regista che dichiara “vorrei sempre far ridere”.

Il bidone e Le notti di Cabiria

Dopo il successo de La strada sono molti i produttori che si contendono il successivo film del regista, ma dopo aver letto il soggetto de Il bidone molti si tirano indietro. L’unico che accetta di produrlo è Goffredo Lombardo della Titanus.

Fellini durante le riprese delle Notti di Cabiria 1956

L’idea per questa sceneggiatura viene a Fellini dai racconti di un gabbamondo incontrato in una trattoria di Ovindoli durante la lavorazione de La strada. Dopo averne discusso con i collaboratori Pinelli e Flaiano, si cerca l’attore protagonista. Dopo aver scartato molti nomi viene scelto lo statunitense Broderick Crawford, affiancato dal connazionale Richard Basehart , il “Matto” de La strada, Franco Fabrizi e Giulietta Masina.

Durante la lavorazione, Fellini appare però distaccato dal film, non sente più né il divertimento de I vitelloni, né il sapore della sfida de La strada. Il risultato finale appare alla critica e al pubblico modesto. La “prima” avviene il 9 settembre 1955 a Venezia dopo essere stati costretti a un lavoro di montaggio a tempi di record. La gelida accoglienza avuta alla mostra di Venezia porterà il regista a decidere di non mandare più al Lido nessuno dei suoi lavori, fino a quando presenterà, fuori concorso, Fellini Satyricon nel 1969. Gli incassi de Il bidone sono piuttosto deludenti e anche la distribuzione all’estero non porta i risultati sperati. Alcune delle critiche più ostili parlano di “Un passo falso” o “Non funziona, ma non è trascurabile”.

Il successo torna con il film successivo, Le notti di Cabiria, anch’esso Premio Oscar, protagonista Giulietta Masina. Il film conclude la trilogia ambientata nel mondo degli umili e degli emarginati.

La dolce vita

Fellini con Ennio Flaiano e Anita Ekberg.

Negli anni sessanta la vena creativa di Fellini si esprime con tutte le sue energie, rivoluzionando i canoni estetici del cinema.

Nel 1960 esce La dolce vita: definita dallo stesso Fellini un film «picassiano», come “comporre una statua per romperla a martellate”. La pellicola – che abbandonava gli schemi narrativi tradizionali – destò scalpore e polemiche perché, oltre a illustrare situazioni fortemente erotiche, descriveva con piglio graffiante una certa decadenza morale che strideva con il benessere economico ormai acquisito dalla società italiana.

Il produttore iniziale de La dolce vita fu Dino De Laurentiis, ma tra il produttore e  Fellini avvenne una rottura e il Federico dovette cercare un altro produttore che ripagasse anche l’anticipo di De Laurentiis.

Mastroianni Ekberg e fontana di Trevi

Iniziò  così la collaborazione con Rizzoli e il budget viene sforato, anche se di poco. 

Interprete del film, insieme con Marcello Mastroianni, la svedese Anita Ekberg, che sarebbe rimasta – con la scena del bagno nella Fontana di Trevi – nella memoria collettiva. Il film fu premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes.

 

8½ e l’alter ego Marcello

Mi sento un ferroviere che ha venduto i biglietti, messo in fila i viaggiatori, sistemato le valigie nel bagagliaio: ma dove sono le rotaie? Federico Fellini durante la preparazione di 8½

Terminati i lavori per le tentazioni del dott. Antonio, Fellini vive un periodo di scarsa ispirazione. Nella sua mente comincia a girare l’idea di un nuovo film, ma non con un soggetto preciso. Dopo aver trascorso un periodo di riposo presso Chianciano Terme, fa ritorno a Roma con uno spunto per una sceneggiatura: un uomo di mezza età interrompe la sua vita per una cura termale e qui, immerso in un limbo, affronta visite e ricordi. La scelta del protagonista cade quasi subito sull’amico Marcello Mastroianni. Tra i due l’amicizia è intensa tanto che Fellini finirà per identificare nell’attore il suo alter ego cinematografico.

Trovato così il protagonista tutto sembra pronto per cominciare ma sorge un problema di cui Fellini non ha parlato a nessuno: il film non c’è più, l’idea che aveva in testa è sparita. In seguito racconterà che più passavano i giorni più gli sembrava di dimenticarsi il film che voleva fare.

Quando è ormai deciso a scrivere una lettera per comunicare la disfatta al produttore Angelo Rizzoli, Fellini viene interrotto da un capo macchina di Cinecittà che lo chiama per festeggiare il compleanno di un macchinista. Tra i festeggiamenti gli arrivano gli auguri per il nuovo film, che ormai non ricorda, ma una volta seduto su una panchina arriva il lampo di genio: il film parlerà proprio di questo, di un regista che voleva fare un film ma non si ricorda più quale, cosicché il protagonista, Guido Anselmi, diventa la proiezione di Fellini stesso.

Il film, girato nel 1963, prende il titolo di , poiché questa pellicola viene dopo sei film interamente da lui diretti, più tre “mezzi” film, costituiti dalla somma “ideale” di tre opere coodirette con altri registi e in seguito si rivelerà uno dei capolavori del regista. Premiato con un Premio Oscar come film straniero e per i costumi di Piro Gherardi , il film è considerato uno dei più grandi della storia del cinema, tanto da essere stato inserito dalla rivista inglese Sight & Sound al 9º posto nella graduatoria delle più belle pellicole mai realizzate e al 3º nella classifica stilata dai registi.

Giulietta degli spiriti e Fellini Satyricon.

Fellini dietro la macchina da presa

In Giulietta degli spiriti, ancora con la Masina (1965), Fellini adotta per la prima volta il colore, in funzione espressionistica.

Il periodo di lavorazione del film è caratterizzato anche da un aumento di interesse, da parte di Fellini, verso il soprannaturale. Frequenta molti maghi e veggenti e in particolare Gustavo Adolfo Rol, pittore, dirigente bancario e sensitivo di fama. È di questo periodo anche l’esperimento con l’LSD a scopo terapeutico, come proposto dal suo psicoanalista Emilio Servadio

L’accoglienza della critica per Giulietta degli spiriti è piuttosto tiepida. I commenti più negativi si espressero con i termini di velleitario, fasullo, ipertrofico, inadeguato. Non mancano alcuni elogi e una piccola minoranza, seppur marginale, parla anche di capolavoro. Il giudizio più severo proviene dal Centro Cattolico Cinematografico che lo accusa di uno “sgradevole impasto che si fa del sacro e del profano”. L’insoddisfazione per i risultati, non certo adeguati alle aspettative, creerà, anche, un’incrinatura del rapporto tra il regista ed Ennio Flaiano.

Mastorna irrealizzato

Il film successivo, Il Viaggio di G. Mastorna, già in cantiere, non verrà mai realizzato. Fellini, quarantacinquenne, deve pagare pesanti penali. Si riprende al termine del decennio. La fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta sono anni di intenso lavoro creativo.

Tornato sul set, dopo aver rinnovato completamente la squadra tecnica e artistica intorno a sé, gira nel 1968 un episodio del film Tre passi nel delirio, l’anno seguente realizza un documentario per la televisione Block-notes di un regista, cui segue il film Fellini Satyricon (1969). È di nuovo grande successo, i problemi degli anni precedenti sono definitivamente alle spalle.

Amarcord e il tema della memoria

… Se uno si mette davanti a un quadro, può averne una fruizione completa ed ininterrotta. Se si mette davanti a un film no. Nel quadro sta dentro tutto, non è lo spettatore che guarda, è il film che si fa guardare dallo spettatore, secondo tempi e ritmi estranei e imposti a chi lo contempla. L’ideale sarebbe fare un film con una sola immagine, eternamente fissa e continuamente ricca di movimento. In Casanova avrei voluto veramente arrivarci molto vicino: un intero film fatto di quadri fissi. Federico Fellini in un’intervista a Valerio Riva per l’Espresso

Titoli di testa di Amarcord.
Titoli di testa di Amarcord

La produzione successiva di Fellini segue ancora un ritmo ternario: I clowns (girato per la TV, 1970), Roma (1972) e Amarcord (1973) sono tutti incentrati sul tema della memoria. L’autore cerca le origini della propria poetica esplorando le tre città dell’anima: il Circo, la Capitale e Rimini. Il film conclusivo della terna, Amarcord. «mi ricordo» in dialetto romagnolo,  vince l’Oscar. La notizia della vittoria gli arriva nelle prime ore del 9 aprile 1975, mentre è impegnato su set de Il Casanova. Fellini decide di non andare a ritirare il riconoscimento che verrà consegnato al produttore.

In particolare in Amarcord si trovano molti spunti autobiografici: infatti possiamo riconoscere in Titta, un giovane Fellini che ricorda la sua adolescenza.

Non si interrompe un’emozione

Giulietta Masina e Marcello Mastroianni sono due attempati ballerini di tip-tap in Ginger e Fred

Dopo Casanova del 1976 è il turno di Prova d’orchestra (1979), considerato il suo film più “politico” e maturato durante i cosiddetti anni di piombo e La città delle donne (1980). Quest’ultimo viene accolto dalla critica con rispetto, lo si descrive come “tipicamente felliniano”, “catalogo di evoluzioni registiche”, “gioco con alcuni vuoti”. Presentato fuori concorso al XXXIII Festival di Cannes, riceve invece una critica alquanto negativa.

Negli anni ottanta dilagano in Italia le tv private. Queste emittenti non chiedono un canone al pubblico, in compenso trasmettono programmi infarciti di pubblicità. Anche i film vengono interrotti dagli spot, suscitando la riprovazione del regista romagnolo. Fellini conia lo slogan non si interrompe un’emozione, allo scopo di suscitare un’analoga reazione nel pubblico.

La voce della luna

Federico Fellini assieme a Paolo Villaggio e Roberto Benigni

L’ultimo decennio di attività di Fellini è arricchito dai suoi ultimi lavori: E la nave va (1983), Ginger e Fred (1986), Intervista (destinato alla TV, 1987), e il lavoro dell’addio al cinema: La voce della luna (1990), liberamente tratto da Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni. Durante la lavorazione del film tutta l’attenzione della stampa è rivolta alla curiosa scelta dei due protagonisti: Roberto Benigni e Paolo Villaggio. La critica inizialmente stupita delle relative scritturazioni, interrogherà più volte il regista sul perché di tale scelta, accogliendo il film in maniera piuttosto tiepida. La risposta di Fellini non si fa attendere: «Benigni e Villaggio sono due ricchezze ignorate e trascurate. Ignorarne il potenziale mi sembra una delle tante colpe che si possono imputare ai nostri produttori».

La pellicola, riconsiderata nel tempo per il suo valore, «è una sorta di invocazione al silenzio, contro il frastuono della vita contemporanea», ambientata in un contesto rurale e notturno, l’opera si pone «come un elogio della follia e una satira sulla volgarità dell’odierna civiltà berlusconiana». Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, vede il prodigarsi di registi come Woody Allen e Martin Scorsese, nel far distribuire il film anche in terra americana.

Nel 1992, dopo un periodo di inattività, ritorna dietro la cinepresa per dirigere tre brevi cortometraggi in forma di spot pubblicitari, intitolati Il sogno, per conto della Banca di Roma. In quest’occasione tornerà a lavorare con Paolo Villaggio.

L’ultimo anno: il 1993

Il 29 marzo 1993 Fellini riceve dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences l’Oscar onorario “in riconoscimento dei suoi meriti cinematografici che hanno entusiasmato e allietato il pubblico mondiale”. A giugno il regista si sottopone a tre interventi chirurgici a Zurigo per ridurre un aneurisma dell’aorta addominale. Dopo un periodo di entra e esci in ospedale, Il 31 ottobre alle 12 Fellini cessa di vivere. Il giorno prima aveva compiuto 50 anni di matrimonio con Giulietta Masina

I funerali di stato vengono celebrati dal cardinale Achille Silvestrini nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma in piazza della Repubblica. Su richiesta di Giulietta Masina, il trombettista Mauro Maur esegue l’Improvviso dell’Angelo di Nino Rota. Dopo l’ultimo saluto, anche la moglie Giulietta Masina muore, cinque mesi dopo il marito.

Le sue spoglie riposano accanto alla moglie e a quelle del figlio Federichino, morto poco dopo la nascita, nel cimitero di Rimini: sovrasta il luogo dell’inumazione una scultura di Arnaldo Pomodoro dal titolo Le Vele, ispirata al film E la nave va.

 

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